La salute mentale è un tema di cui oggi si parla molto, ma spesso in termini astratti. Per chi lavora ogni giorno con bambini e ragazzi accolti nelle comunità educative, invece, è qualcosa di molto concreto: entra nei gesti quotidiani, nelle relazioni, nella scuola, nella fatica degli operatori.
Questo articolo nasce dall’esperienza del Villaggio SOS di Ostuni: non per fare teoria, ma per condividere riflessioni nate dal lavoro sul campo. Con una convinzione semplice: la salute mentale non è solo “assenza di malattia”, ma uno stato di benessere psicofisico, come afferma l’Organizzazione Mondiale della Sanità.
È la possibilità per ogni bambino di crescere sentendosi riconosciuto e sostenuto.
Le sfide quotidiane
Ogni bambino accolto porta con sé una ferita invisibile. Anche senza diagnosi, l’allontanamento dalla famiglia è una frattura. Un segno che resta. Gli educatori lo vedono: un ragazzo che si chiude nel silenzio, una bambina che esplode di rabbia per una regola, un adolescente che in classe si sente sempre “l’ultimo della fila”.
Un’altra difficoltà è la distanza tra adulti e adolescenti. Non è solo questione di parole diverse: è un linguaggio intero che, talora, non si incontra. I ragazzi cercano ascolto e trovano risposte che sembrano non c’entrare con le loro domande. Oggi gli adulti si trovano spesso impreparati a comprendere la nuova adolescenza: i ragazzi cercano ascolto e trovano risposte che non sempre corrispondono ai loro bisogni reali. Questo crea solitudine, incomprensioni, sfiducia.
A ciò si aggiunge l’aumento del numero di minori che manifestano bisogni educativi ed emotivi complessi. Non bastano il cuore e la buona volontà degli educatori: servono strumenti, perché altrimenti il rischio è chiedere troppo a chi è già provato, con conseguenze sulla sua autostima.
E poi c’è la fatica di chi accompagna. Educatori e famiglie che vivono accanto ai ragazzi con fragilità spesso arrivano a un logoramento profondo. Senza spazi di recupero, senza sostegno, la cura rischia di diventare peso.
Risorse e alleanze
Il Villaggio non è solo: nel tempo ha costruito legami con realtà del territorio e servizi che possono diventare un supporto prezioso. Tra questi, l’associazione ReStart di Bari, che gestisce il progetto Youngle dedicato ai più giovani, e che ha realizzato percorsi formativi con i nostri educatori sull’uso consapevole dei cellulari. Reti di ascolto dedicate ai giovani, linee telefoniche di sostegno emotivo, professionisti con cui attivare collaborazioni rapide nei momenti di bisogno: tutti tasselli che, insieme, aiutano a rispondere ai ragazzi e a sostenere chi li accompagna.
Non si tratta di “delegare”, ma di riconoscere che la salute mentale non può essere affrontata da soli. È una responsabilità che richiede rete, fiducia e alleanze.
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Prospettive di lavoro
Per noi del Villaggio SOS di Ostuni parlare di salute mentale non significa solo descrivere difficoltà. Significa assumersi la responsabilità di indicare una strada, di dire con chiarezza cosa oggi è necessario cambiare.
Anzitutto, la formazione non può essere episodica.
Non basta un corso una tantum. Educatori e operatori hanno bisogno di percorsi continui. Strumenti aggiornati che aiutino a comunicare con gli adolescenti, gestire le crisi e promuovere resilienza. Ogni giorno ci confrontiamo con ragazzi che vivono fragilità profonde: non possiamo chiedere ai nostri educatori di affrontarle senza un bagaglio adeguato.
In secondo luogo, serve una rete di professionisti accessibile.
Psicologi, psicoterapeuti e neuropsichiatri dovrebbero poter affiancare in modo tempestivo le comunità educative. Tuttavia, la complessità dei percorsi di presa in carico e le tempistiche dei servizi rendono talvolta difficile un intervento immediato. E proprio per questo riteniamo necessario rafforzare le collaborazioni con professionisti e realtà del territorio. Non è un lusso: significa garantire che i ragazzi e gli operatori non restino soli nei momenti più delicati.
C’è poi un punto imprescindibile: chi cura ha bisogno di cura.
Gli educatori e i caregiver non possono essere risorse inesauribili. Servono spazi di sostegno psicologico. Servono momenti di supervisione e turni equilibrati. Non sono ‘extra’: sono la condizione per mantenere viva e autentica la relazione educativa. Senza questo, il rischio è che la fatica consumi le persone prima ancora che i progetti.
Infine, l’inclusione deve diventare cultura diffusa.
Una diagnosi non può ridurre un bambino a un’etichetta. Sta a noi, come comunità educative, aiutare scuole, associazioni sportive e realtà territoriali a guardare oltre la fragilità, a riconoscere ogni ragazzo per ciò che è: una persona, con risorse e potenzialità da valorizzare. Un impegno in linea con le indicazioni del Ministero della Salute sulla promozione della salute mentale.
Queste non sono “aspirazioni astratte”. Sono direzioni concrete di lavoro che vogliamo continuare a portare avanti. Perché il diritto alla salute mentale dei bambini e dei ragazzi accolti non è un tema opzionale: è la base su cui si costruisce ogni percorso di crescita.
Essere presenti
La salute mentale non è una dimensione privata, ma una responsabilità collettiva. Ogni bambino e ogni ragazzo hanno diritto a crescere in contesti che li riconoscano, li accolgano e li sostengano. Ogni educatore e ogni famiglia hanno diritto a non essere lasciati soli.
Come scrive lo psichiatra Mario Milone nel suo libro “L’arte di legare”:
“L’importante non è quello che dici o quello che fai, ma esserci. Se ci sei, il paziente fa tutto da solo.”
Essere presenti, con competenza e cura reciproca, è il primo passo per costruire comunità inclusive e resilienti.